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Intervista a Maria Cristina Tonna:Il rugby ad un anno dall’inizio del lockdown

Maria Cristina Tonna, è coordinatrice F.I.R. del rugby femminile italiano, ha una lunga esperienza prima come giocatrice, successivamente come dirigente di club ed ora della federazione rugby. Grande passione e professionalità che le ha dato modo di affrancarsi e di imporsi in un mondo pensato, a torto, sempre e solo maschile aiutando a crescere il movimento femminile che oggi vanta un racking europeo di primo piano.

 

 

Abbiamo raccolto le sue riflessioni dopo questo primo anno di lockdown, lontano dai giorni giocati e dai campi da rugby.

Un anno dall’inizio del lockdown, un anno senza rugby giocato in Italia. Quale eredità dalla pandemia da Covid19?

E’ passato poco più di un anno da quando la partita Italia-Scozia del 6 Nazioni Femminile scorso, che si doveva disputare a Legnano il 23 Febbraio 2020, è stata annullata a poche ore dal calcio di inizio, a causa del divampare della pandemia in Italia.

La delusione è stata immensa, così come poi si sono susseguiti tanti altri momenti di paura, speranza e poi di nuovo l’amarezza di un periodo che tutti immaginavamo breve ma che ci sta tenendo in scacco ormai da mesi.

Proprio da queste emozioni continue ed altalenanti viene uno dei più grandi lasciti di questo periodo, la necessaria flessibilità mentale ed anche fisica a reagire a vari livelli di stress, nella vita di tutti i giorni così come in campo.

Chi ha avuto la forza e la possibilità di reagire, ha colto l’opportunità di questo tempo “sospeso” con analisi sia personali che di club, rivedendo la visione per rinnovarsi nel profondo e farsi trovare pieni di energia rinnovata alla ripartenza.

A livello rugbistico è chiaro che dovremo fare i conti con due stagioni di inattività del nostro movimento, eccezione fatta per le due franchigie e per il Top Ten. Stiamo monitorando continuamente tutto il territorio, cercando di sostenere i club nel loro lavoro quotidiano, ma comunque ci troveremo di fronte a squadre impoverite di numeri.

Se parliamo del settore femminile nello specifico, la pandemia ha bruscamente interrotto un trend di crescita importante, progetti sul territorio verso i club, per sostenere lo sviluppo della filiera femminile e per una formazione continua delle giocatrici, e il Progetto di Area U18, che era appena partito.

Anche la promozione del nostro sport, al maschile e al femminile, ha avuto una lunga battuta di arresto, soprattutto quella a livello scolastico e per ovvi motivi.

Ci stiamo però al contempo continuando a distinguere come mondo del rugby per valori e rispetto delle regole, dentro e fuori dal campo, e questo ci sta portando paradossalmente ad avere molti bambini e bambine che si stanno avvicinando, anche per via del fatto che siamo uno sport che si pratica all’aria aperta.

Nello specifico la Nazionale Femminile come ha vissuto quest’ anno di Covid?

Come accennavo prima, siamo state la prima gara rinviata in Italia, quando ancora il Covid19 non era entrato nelle nostre quotidianità.

Non è stato facile mantenere la concentrazione davanti a rinvii continui del 6 Nazioni, delle qualificazioni alla Coppa del Mondo, ed infine, notizia di queste ore, proprio della World Cup (dal 2021 al 2022).

Siamo però anche consapevoli che non possiamo influenzare questi processi, e che soprattutto prima viene la tutela della salute delle giocatrici e di tutti i cittadini in generale.

Per poter sostenere la squadra, visti i nostri campionati domestici fermi, abbiamo aumentato il numero di raduni, sia nella prima fase della stagione sportiva, per il recupero del 6 Nazioni (Novembre 2020) che in questa seconda parte, in vista della nuova edizione del Torneo.

A proposito del Torneo, l’edizione 2021 sarà diversa, ce ne parli?

A Gennaio il 6 Nazioni ha valutato che le condizioni legate alla pandemia mondiale non avrebbero permesso di disputare i tornei Femminile ed Under 20 mantenendo i criteri di sicurezza necessari.

Per il Torneo Femminile si è valutato uno slittamento in primavera, nello specifico nel mese di Aprile, e rivista la formula, vista l’eccezionalità del momento.

Invece di giocare in un girone all’italiana incontrando tutte e cinque le altre nazionali, avremo un girone a tre con Inghilterra e Scozia, più una gara di “finale” contro la pari piazzata dell’altro girone.

Ad oggi non sappiamo se queste gare potranno essere ancora valide per la qualificazione alla Coppa del Mondo, oppure se World Rugby ripenserà altro.

La sede delle gare casalinghe dell’Italdonne sarà Padova, con supporto del Valsugana.

Come vedi questo ritorno nella nostra città?

Quest’anno giocheremo a Padova la prima partita contro l’Inghilterra e l’ultima, con avversario ancora da stabilire, a seconda della classifica.

Abbiamo giocato varie gare a Padova negli scorsi anni, con organizzazione del Valsugana, e ci siamo sempre trovate benissimo.

Il calore dell’accoglienza sia nel club, in cui abbiamo svolto alcuni allenamenti, che del pubblico il giorno delle gare, è stato straordinario, e sarà uno degli elementi che ci mancherà molto, giocando a porte chiuse.

Padova, così come tutto il Veneto, è una città dove si respira rugby, e Valsugana è un punto di riferimento importante per il rugby al femminile italiano, un esempio di equità e di come una buona programmazione porti a dei risultati importanti, sportivi ed umani.

Ancora sono poche le società in Italia che hanno entrambe le filiere complete, femminile e maschile, ma sono certa che un altro lascito della pandemia al nostro mondo del rugby italiano sia in termini di accoglienza e di equità, valori che se tradotti in azioni ci arricchiranno nuovamente in numeri e in esperienza di campo e di vita.

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